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Giorgio Gaber. Libertà Obbligatoria. I Reduci. Zeneszám


E allora e venuta la voglia di rompere tutto
le nostre famiglie, gli armadi, le chiese, i notai
i banchi di scuola, i parenti, le "centoventotto"
trasformare in coraggio la rabbia che e dentro di noi.

E tutto che saltava in aria
e c'era un senso di vittoria
come se tenesse conto del coraggio
la storia.

E allora e venuto il momento di organizzarsi
di avere una linea e di unirsi intorno a un'idea
dalle scuole ai quartieri alle fabbriche per confrontarsi
decidere insieme la lotta in assemblea.

E tutto che sembrava pronto
per fare la rivoluzione...
ma era una tua immagine o soltanto
una bella intenzione.

E allora e venuto il momento dei lunghi discorsi
ripartire da zero e occuparsi un momento di noi
affrontare la crisi, parlare, parlare e sfogarsi
e guardarsi di dentro per sapere chi sei.

E c'era l'orgoglio di capire
e poi la certezza di una svolta
come se capir la crisi voglia dire
che la crisi e risolta.

E allora ti torna la voglia di fare un'azione
ma ti sfugge di mano e si invischia ogni gesto che fai
la sola certezza che resta e la tua confusione,
il vantaggio di avere coscienza di quello che sei

ma il fatto di avere la coscienza
che sei nella merda piu totale
e l'unica sostanziale differenza
da un borghese normale.

E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti
come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi,
con le bende perdute per strada e le fasce sui volti
gia a vent'anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi

noi buttavamo tutto in aria
e c'era un senso di vittoria
come se tenesse conto del coraggio
la storia.